lunedì 31 marzo 2014

primo passo post ospedaliero

la girandola dei consulti post ospedalieri. quando esci e non hai una diagnosi, cerchi comunque di venire a capo del rebus che hai di fronte.

il primo consulto, in realtà, fu la visita di controllo effettuata alcuni mesi dopo con tanto di risonanza magnetica. attesi i risultati un sabato mattina in una specie di corridoio iperaffolato. dopo una lunga permanenza sulla sedia di plsatica più scomoda del mondo, fui ricevuto da tre medici. consultarono a lungo le scartoffie del mio ricovero. confrontarono il tutto con i nuovi risultati e mi dissero che l'infiammazione era totalmente regredita. sebbene avessi assunto una massiccia dose di cortisonici, il risultato non era per nulla scontato. così come non era scontata la rapidità con cui ciò avvenne. mi indicarono quali controlli sarebbe stato corretto effettuare di lì ad un anno. feci notare loro che provavo un profondo fastidio alle cosce, ai muscoli quadricipiti. li sentivo tirare, mi davano l'impressione di essersi trasformati in una sorta di zavorra. mi liquidarono brevemente dicendo che quella sensazione non era altro che la "ferita" che il cortisone aveva lasciato sul mio corpo. penso che non fosse quello. sto sperimentano ora con la fisioterapia un forte dolore nel tentativo di recupero della parte posteriore della gamba, i cui muscoli vengono definiti per l'appunto posturali (io li definirei semplicemente "stronzi", ma non vorrei sminuire troppo la nomenclatura medico-scientifica che tanto impegno ha profuso nell'inventarsi nomi che fossero pronunciabili rapidamente solo da una ristretta cerchia dell'umanità). se i muscoli del bicipite femorale sono sbilanciati in forza, massa ed elongazione, sono per l'appunto cazzi. e dolorosi. probabilmente quel dolore, quella strana sensazione, era un inizio di sbilanciamento del rapporto tra le due leve (certo che quello lassù inventando il corpo umano si è fregiato di un'opera di ingegneria notevole. ma che come tutte le cose notevoli presenta dei "bug" non da poco).

poi la domanda fatidica: "Ma oltre ai controlli periodici cosa devo fare?"
"Nulla."
"Come nulla? niente medicine, niente fiosioterapie? nulla di nulla?"
"Nulla" replica piuttosto piccata, un po' come a dire: "Non t'era chiaro il significato di quell'unica parola?".

Nulla un cazzo, posso dire oggi con cognizione di causa.

mercoledì 19 marzo 2014

incivile.

stai leggendo delle notizie che riguardano la tua regione. all'improvviso ti imbatti in questo simpatico passaggio:

A far scoppiare il risentimento delle persone con disabilità, le dichiarazioni di Sgarbi sull'ipotesi di installare scale mobili o ascensori nella città: "Mi fa schifo solo la parola. Una città civile non ha né ascensori né scale mobili. Solo quelle abitate da nani, zoppi e handicappati hanno le scale mobili. Se le devono mettere nel culo".

bene. non è che Sgarbi dovesse per forza fare questa dichiarazione per posizionarsi sulla punta del mio cazzo. di sicuro a lui non importa, ma due parole ce le spreco volentieri.
devo dire che con la mia condizione ne ho viste di tutti i colori. la sfiducia che ripongo nel genere umano passa anche per quelle espressioni facciali di disgusto, passa per tutte quelle persone che ti trattano come un appestato o peggio, come un ritardato. però, essere considerato come la causa dell'inciviltà di una città, era un qualcosa che nessuno aveva avallato.

nella mia regione ci sono una miriade di paesini con mura medioevali. non tutti sono facilmente accessibili perchè situati in montagna e quindi anche all'interno delle mura sono presenti dei saliscendi tali da far desistere anche persone ben allenate. purtroppo ho dovuto rinunciare a visitarne diversi (anche se dopo due anni di fisioterapia sto ricominciando ad affrontare gli ostacoli). è un peccato, ma molti di questi piccoli paesi sono in comuni poco abitati e quindi con risorse economiche esigue, tali da non poter rendere accessibile l'ingresso a tutti. inoltre, sono stati costruiti in periodi in cui si andava in giro con un carro trainato da buoi, per cui, chi non poteva uscire rimaneva segregato in casa e chi poteva saliva cavalcioni sul carro e si lasciava portare. la città della quale parla Sgrabi però, non è un piccolo comune. è Urbino. capoluogo di provincia. città universitaria. candidata anche a città europea della cultura. evidentemente però, per Sgarbi la fruibilità della cultura, dei libri, del paesaggio è solo per coloro i quali possono vantarsi di mostrare un livello di indiscutibile avvenenza. evidentemente i sessanta libri all'anno che leggo io hanno molto meno valore dei due-tre libri della modella che partecipa a Miss Italia e che guarda caso è iscritta a Scienze della Comunicazione. forse Sgarbi non sa che tra le varie capacità di un architetto, c'è anche quella di progettare ausili per persone con difficoltà, riuscendo a rispettare i vincoli paesaggistici. ma soprattutto, lo stronzo sgarbi non sa che nessuno gli ha assicurato che in un futuro un aiuto possa servire anche a lui.

cosa ne sai di civiltà? cos'è per te la civiltà? presentarsi ad una mostra del Signorelli e poi chiudersi con quattro leccaculi a telefonare alla scopamica marchigiana irridendola e vantandosi di quanto la tratti male? o è frasi fotografare (e lei raccontava altro) con una allora minorenne signorina che scalerà l'olimpo berlusconiano fino a prendersi quel cazzo di posto da ritardata al Tg4? (esempi fatti a caso, stronzo). è questa la tua idea di civiltà?

non sono il compagno ideale, nè quello da presentare a genitori e amici senza un filo di vergogna. non sono la persona con la quale si può andare in giro perchè rallenterei l'andatura e bla bla bla. adesso, sono pure un incivile. probabilmente avrai una lunga vita e piena di successi (agli stronzi capita spesso), però ci penserei due volte prima di dare per scontato che tutto andrà bene...

giovedì 13 marzo 2014

primi tempi di vita nuova

ho giocato a pallavolo per quattordici anni. più o meno. un qualcosa che mi teneva occupato per circa tre sere a settimana più l'eventuale partita al sabato. all'improvviso mi ritrovai senza questo appuntamento. e le serate erano vuote. tanto vuote. ricominciai ad uscire al bar, per una birra, per stare con gli altri, ma i rapporti non sono mai stati idilliaci. i miei amici erano anche compagni di squadra. gli altri, quelli più stretti, non erano di quella cerchia, erano più lontani.

a ripensarci oggi non riesco a ricordare bene come mi sentivo in quel periodo. è passato davvero troppo tempo. di certo mi ricordo che mai, neanche per una volta ho pensato al peggio. che potessi finire in sedia a rotelle o chissà... ancora mi ronzava in testa questa cosa che "no, le cose non vanno benissimo ma a me, no, il peggio non succederà". beata incoscienza. eppure ero senza diagnosi, quindi, congetture non era il caso di farlo. ricordo però che, soprattutto all'inizio, quando il mio problema non era troppo evidente, ho avuto più di una volta discussioni perchè la gente si spazientiva quando in alcune occasioni mi faceva notare quanto fossi "impacciato", o lento. non è che potevo mettermi lì a disquisire sul mio mondo, così lasciavo passare. anche con fastidio. anche quando, all'ingresso di una pizzeria fu un mio amico, che ben sapeva cosa mi stesse succedendo, che affermò con acidità: "sai qual è il tuo prblema? sei lento? il mondo corre più di te, non c'è spazio per quelli come te". iniziai a comprendere (anzi no, me ne sarei reso conto per bene in un secondo momento) che il rapporto con le persone sarebbe cambiato parecchio. che l'aurea bontà degli uomini è una cazzata di dimensioni immani.

così, traccheggiai con tutto me stesso, nella confusione più totale, con un mondo di domande irrisolte nella mia testa: "e ora? cosa faccio?" , "capiranno questi che non posso...?". e in più i laceranti quesiti senza risposta: "e cosa mi succederà?" , "cosa farò se...?". che quando non sai, nè puoi immaginare il futuro, mettere un "se" nella tua domanda contribuisce solo ad annebbiare le idee.