mercoledì 6 novembre 2013

il primo giorno

e alla fine ci fu il ricovero. dire che quel giorno mi sentii spaesato è un eufemismo. che cosa ci favevo lì? perchè dovetti indossare il pigiama di buon mattino quando di solito a quell'ora avevo già lasciato Morfeo alle spalle da un pezzo? perchè all'improvviso mi sentivo come il macchinario che un tizio in camice avrebbe preso a calci per rimetterlo in moto?

dai miei genitori non ebbi una sola parola di conforto nè di incoraggiamento. non ne sono mai stati capaci. a livello materiale non mi è mancato mai nulla, a livello umano ho dovuto imparare ben presto a pensare da solo al mio benessere. a loro discolpa posso dire che in quel periodo stavamo attraversando una situazione famigliare che se la raccontassi qui, qualcuno potrebbe pensare che questa sia il frutto di una fervida immaginazione di uno scrittore in evidente stato di ebbrezza.

ebbi modo la sera stessa di scaricare la tensione al telefono con un amico. e via via, nei giorni seguenti con gli altri. ero al quinto/sesto piano. dall'ampia sala d'ingresso, al tramonto, guardavo dall'ampia vetrata medici ed infermieri che se ne andavano, lasciando l'ospedale in un silenzio surreale. e non è che avessi tutta questa voglia di rientrare. non so se avete mai visto un reparto di neurologia. non è proprio quello spettacolo per cui ti metti seduto col pop-corn in mano e la gamba accavallata ad osservare. però a poco a poco ci feci l'abitudine e iniziai a scorgere un mondo pieno di problemi che non avevo preso mai in considerazione. probabilmente prima ero vissuto per troppo tempo in un mondo dorato nel quale le favole finiscono tutte col lieto fine, quando invece l'orco cattivo è in ogni angolo, in ogni cantuccio, pronto a saltare fuori e a sovvertire ogni certezza.

nonostante questo, non mi è passato nemmeno un attimo per la testa la possibilità che stesse succedendo qualcosa di spiacevole. sentivo incessantemente ripetersi nella mia testa: "è solo un momento storto, tutto si sistemerà al meglio, perchè è ovvio che a te le cose non possono andare male". un pensiero magico. infantile. che albergava ovviamente in una mente di pari livello.

a ripensarci oggi, mi verrebbe da dire che non tutto il male viene per nuocere. potrà sembrare un luogo comune, ma il tutto è servito un po' anche a maturare. mi rendo conto che forse non ero proprio un esempio di vivida intelligenza all'epoca. forse dico così perchè non mi è andata proprio male e se avessi avuto qualcosa di peggiore non sarei qui a filosofare. d'altra parte sono qui per raccontare una storia, non per creare proseliti.

2 commenti:

  1. L'immagine di te alla vetrata, al tramonto, che guardi le sagome allontanarsi, beh, caro, ha qualcosa di struggente. I&N, oserei dire.

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  2. sì...dopo quelle schifezze che ci propinavano per cena...

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