mercoledì 8 gennaio 2014

il rientro

come detto, la mia dimissione fu accompagnata da una cartella clinica priva di diagnosi. ogni esame risultò negativo. mi trovarono "solo" una infiammazione midollare la cui eziogenesi risultò ovviamente sconosciuta. ero abbastanza confuso. il fatto che risultasse "solo" questo particolare mi ridiede un ottimismo ebete. beata incoscienza.
per ovviare a questa infiammazione mi fu prescritto un ciclo di cinque flebo di cortisone. cinque fiaschi, direi, considerate le dimensioni. le attaccavano il mattino e poi goccia dopo goccia il liquido si insinuava nelle mie vene (un po' meno l'ultima, quando una infermiera mi bucherellò varie volte tentando di dissanguarmi prima di lasciare il testimone ad una collega. mi chiese scusa non so quante volte. non ce n'era neanche bisogno in realtà. io, che sono abbastanza fifone, non riuscirei ad infilzare un ago nella pelle altrui neanche allo scopo di far del male). cinque giorni di pazienza prima della puntura lombare.
il giorno in cui fui dimesso ricordo che un'infermiera scherzando mi disse che la mia fretta di rivedere il cielo era dovuta all'imminenza di una festa paesana in quel luglio. non ricordo se glielo dissi io o se lo sapesse da sola. il suo volto mi sembrava conosciuto, ma i ricordi si fanno confusi. magari era delle mie zone, o avevamo amici in comune. ne ebbi l'impressione ma non andai a fondo. ricordo un signore inglese nella sala d'aspetto che leggeva un libro su una delle tante Marie Stuarde del nord europa. la copertina di raso rosso invece la ricordo. rimangono alcuni particolari e scompaiono le vicende importanti.
"La puntura potrebbe dare del dolore al collo". fu questa l'ultima raccomandazione. dopo una ventina di chilometri, in superstrada, non riuscivo già più a trovare una posizione che mi evitasse il peso e il senso di oppressione che veniva dalla scatola cranica. passai i successivi due/tre giorni disteso sul divano tanto era il dolore cervicale.
Una delle prime cose che feci quando riacquistai un po' di vigore fu quella di farmi una corsa all'aria aperta, in quella strada dove tutto iniziò. incontrai anche il mio medico di famiglia, e sebbene i nostri sguardi si incontrarono solo per un attimo (lui era in auto), notai una espressione preoccupata. o forse è solo una mia convinzione. non ricordo quante corse mi concessi dopo. il declino fisico arrivò inarrestabile anche se per un anno arrancai ancora con prestazioni meschine nella mia squadra di pallavolo. e non c'era verso di ammettere a me stesso che nulla sarebbe stato come prima.

a distanza di anni posso assicurare a me stesso che se mi chiedessero di esprimere un desiderio, non sarebbe certo quello di avere soldi, o tante donne assetate di sesso (beh, insomma...parliamone). no, se potessi per un attimo regalarmi qualcosa, vorrei farmi una corsa per quella strada in un pomeriggio estivo. vorrei sudare di nuovo tanto, sentire l'aria entrare nei polmoni dilatati e respirare ancora il profumo dei campi, dell'erba, del grano appena battuto. e con la musica nelle orecchie, volgere lo sguardo verso le colline, le mie colline, così belle e così generose nel momento in cui nei primi istanti del tramonto lasciano filtrare i raggi del sole nelle scanalature e donano al mondo dei colori pastello abbacinanti. e riprovare quel senso di serenità che il silenzio di una via di campagna solitaria dona.

mi ritengo comunque fortunato a non aver mai dato per scontato il piacere di una corsa all'aria aperta. il benessere economico aiuta, sarebbe ipocrita affermare il contrario. ma se hai tutti i soldi di questo mondo e non ti concedi nessun piacere primario ho qualche dubbio che nel tuo io interiore possa esserci una qualsiasi forma di felicità.

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